Uno dei mali peggiori della società italiana contemporanea è il precariato dei giovani lavoratori e in generale perché il contratto di lavoro precario non consente quella continuità necessaria a costruirsi una pensione per il domani ed una stabilità per l’oggi, tant’è che quella generazione rischia di essere mantenuta dai nonni prima e dai nipoti dopo. Non solo, ma l’incertezza del lavoro impedisce una valida progettualità per il futuro, per farsi una famiglia, avere dei figli, comprarsi una casa… bisognerebbe che adesso reintroducessero anche l’ICI per la prima casa e poi i giovani perderebbero davvero ogni speranza.
Inoltre non avere una occupazione garantita mette il giovane in un rapporto con il datore di lavoro occasionale di estrema fragilità, di ricattabilità, di rinuncia di fatto ai propri diritti sancita da leggi e contratti. La precarietà impoverisce quindi il livello di cittadinanza della popolazione, il grado di cultura della collettività, la capacità progettuale delle giovani generazioni, l’opportunità di creare le nuove famiglie e la forza di avere e crescere i propri figli.
Quindi, senza entrare troppo nei particolari, appare evidente che il precariato è una piaga sociale e riuscire ad eliminarlo rappresenterebbe un progresso non indifferente. Oltre alla precarietà del lavoro esiste la elasticità del lavoro, che prevede la mobilità da un lavoro all’altro senza per questo rimanere disoccupati. Per esperienza posso dire che non può esistere elasticità senza precarietà e chiudere così il discorso; ma accettiamo per mera ipotesi che sia possibile e realizzabile su larga scala una elasticità che non confluisca inevitabilmente nella precarietà: che dire? Il lavoro è inserito come pilastro della società anche nella carta costituzionale, ma non un lavoro qualunque, non si intende solo la parte remunerativa, ma come lavoro si intende anche la professionalità, il mestiere. Sono questi elementi che erano tenuti molto in considerazione dalle precedenti generazioni e che oggi, invece, vengono trascurati oltre il comprensibile.
Il saltare da una occupazione all’altra significa essere gestiti dalla collettività come numeri, quasi che non sia importante l’esperienza che viene concretizzata in anni di attività. E’ chiaro che un lavoro così inteso, cioè privo di contenuti, è un lavoro di serie B, che impoverisce la personalità del cittadino, ma impoverisce anche la società dei suoi saperi. Il mestiere e la professionalità sono capacità importanti, sono patrimoni della collettività e quindi tutelarli è progresso, non certo privilegio.
Ecco quindi che abbiamo acclarato come la lotta al precariato nelle sue diverse forme e accezioni, rappresenti una forma di progresso. E’ anche evidente che il progresso non potrà mai coinvolgere tutti contemporaneamente e quindi non possiamo dire che i lavoratori a tempo indeterminato, rispetto agli altri, godono di un privilegio, bensì che i precari vivono una situazione di disagio, che deve essere superata, che superarla costituisce il progresso e che l’obiettivo è quello di dare un lavoro ed un mestiere o professione a tutti i cittadini.
Sono questi discorsi difficili? Non mi sembra. Credo che siano l’espressione di puro buon senso. E allora perché non si ragiona sempre così? Prima di tutto è facile intuire come la televisione e i giornali (ma soprattutto la televisione) nel rendere plausibile ogni opinione, nel tritare nel macinino insieme le ipotesi più diverse, da quelle ispirate appunto dal buon senso a quelle dettate dalle più bieche demagogie, rende tutto relativo, non esistono più le verità e i valori sono messi in continua discussione. E invece no! Il lavoro è un valore! Il miglior lavoro è progresso e lavoro precario è disagio e va combattuto.
Chiunque dica diversamente è in malafede oppure è molto superficiale, in ogni caso tende a raggiungere risultati utili a pochi che intendono rafforzare la propria posizione a scapito di molti. La domanda in questi casi è sempre la stessa: a chi giova avere un mondo del lavoro fatto prevalentemente di precari? E invece: a chi giova avere una collettività supportata dal lavoro sicuro e professionale?
La domanda la lascio a ciascuno di noi… ma certo è che occorre essere ben più fermi nelle nostre convinzioni, ancorati ai nostri valori, certi di ciò che vogliamo per i nostri figli.